lunedì 21 marzo 2011

Io non dovevo andare

Io a Stoccolma non ci dovevo andare… Nell’ansiogeno periodo pre-date non avevo un’idea precisa, né imprecisa veramente, di cosa avrei fatto, a parte le date italiane, che quelle si fanno tutte e vabbè. Poi succede che il giorno 21 gennaio a metà pomeriggio mi arriva un sms che dice solo: “LE DATE”. Boom! Ci siamo. E’ tutto vero. Bruce torna. Ha mantenuto la  promessa anche stavolta.
Inizio a saltellare per il laboratorio, a rompere preziosi pezzi di vetreria, a fare un casino spaventoso. Non capisco più un caxxo! Devo sapere cosa vuol dire “DATE” prima di buttare per aria tutto il laboratorio! Datemi un pc, è meglio per tutti!! Riesco finalmente a collegarmi e punto dritta alla terra di sogni e speranze…e lì trovo già il delirio!  ROMA-TORINO-UDINE. Mi agito anziché calmarmi. Benissimo. Da sola non ce la posso fare. Chiedo aiuto a gian. E gian da bravo amico mi risponde così: “abbiamo già preso Monaco”. Grazie gian, adesso posso dare fuoco al laboratorio…… Che tanto per aumentare il caos, a parte pubblicare ufficialmente  le date italiane, hanno anche già messo in vendita Monaco. Mi sembra giusto. Ma non è finita, gian continua: “Stoccolma. Parla con Cri e Fabri per i biglietti. Delirio”. Che fosse il delirio me ne ero già accorta da sola…..ma a Stoccolma invece chi ci pensava...?? E a dimostrazione che quando inizi a pensarci il danno è già  fatto diciamo al 90%…5 giorni dopo avevo già in mano due meravigliosi tickets per “Bruce Springsteen  & the E Street Band – Working On A Dream Tour,  Stockholm 4 e 5 June 2009”. EVVAI!!!! E però la terza data del 7 quella no. Il 7 l’ hanno aggiunto il corsa. E sono cose che non si fanno. Il 7 no, perché è domenica e bisognerebbe prendersi anche il lunedì di ferie e non si può ASSOLUTAMENTE. Insomma, a parte la questione della terza data, a cui mi sono rifiutata di pensare finchè ho potuto…., pare che andrò a Stoccolma. E’ il 26 gennaio e c’è tutto il tempo per organizzare (forse) con calma le cose. E così, mettendo insieme un pezzetto alla volta, organizziamo questa Bruce-trasferta. In questi mesi di attesa inizio un po’a conoscere quelli che saranno i miei compagni di viaggio. Qualcuno lo conosco già di persona, qualcuno solo dal nick, qualcuno nemmeno da quello. Tra aereo, ostelli, corone scambiate all’ultimo momento e valigie pensate e ripensate perché dicono che a Stoccolma potrebbe piovere (…..) arriviamo, finalmente, al 3 di giugno. In aeroporto trovo i miei compagni di viaggio e l’avventura comincia.

E’ la prima volta che vado a vedere Bruce all’estero fermandomi più del tempo del concerto, sarà la prima volta che vedrò due (due…) concerti in due giorni. E’ la prima volta che faccio tutto questo in gruppo (e adesso posso dire: che gruppo!). Chissà come andrà….. Beh, è andata ALLA GRANDE!!!!! Tanto per non perdere tempo sull’aereo viene subito affrontata la questione spinosa della terza data….. Ok, ho capito che aria tira, ho capito che qui ho a che fare con gente seria….  Stoccolma dicono che sia bellissima, dicono…. Ma a Stoccolma finisce che si dorme poco, si mangia quando e come capita, si impara a conoscere la città dal punto di vista dello stadio e zone limitrofe, si alternano i pit-stop nel baretto della metropolitana con quelli al 7-eleven store. Si corre, si corre, per un motivo o per l’altro si corre sempre. E dopo le nostre, in media direi 15, oneste ore di coda si assiste allo spettacolo migliore del mondo: un concerto della E Street Band! Insomma, per me la vacanza perfetta! A Stoccolma mi sono divertita, mi sono emozionata, ho pianto, ho riso, ho saltato di gioia. Bruce l’ho sentito più vero e vicino che mai. Non so come spiegarlo, ma è una sensazione. E condividere tutto questo con voi, brothers, è stata un’esperienza devastante. L’ansia e l’attesa prima del concerto. Gli abbracci dopo. Emozioni indescrivibili. Tra il secondo e il terzo (si, perché alla fine poi ho deciso di fermarmi anche per il concerto della domenica, già che ero lì…..) qualcuno è, purtroppo, tornato a casa, qualcuno è arrivato e qualcuno, come me, ha deciso in corsa di prolungare la trasferta svedese. E meno male che ho deciso di fermarmi! A parte l’ultimo concerto che è stato strepitoso, a parte il “SEE YOU AGAIN” di Bruce che vale tutto, a parte questo, domenica notte tornando in ostello dopo il concerto è successa una cosa.

Di strada tra lo stadio e il nostro ostello c’era l’hotel in cui alloggiava Bruce…sinceramente passando di lì in quel momento l’ultima cosa che mi aspetto è di vederlo. E però una sbirciatina dalla vetrata la si da sempre e comunque, che nella vita non si sa mai…..e infatti lui è lì. Seduto ad un tavolo a bersi tranquillamente qualcosa. Lì davanti in strada ci siamo solo noi, un freddo pinguino, ma non ce la sentiamo di entrare, che dopo 3 ore di concerto in cui ci ha dato TUTTO, non abbiamo voglia di rompergli le scatole. E allora buoni buoni stiamo lì fuori sperando che almeno ci veda. E lui ci vede. Guarda dalla vetrata e ci saluta. E saluta proprio noi perché li fuori in quel momento non c’è nessun altro. Fantastico. Semplicemente fantastico. La mattina dopo è già ora di tornare a casa.Passiamo le ultime ore svedesi inevitabilmente inchiodati davanti all’ingresso dell’hotel (di Bruce, soggetto sottinteso…) e poi via, di corsa,  verso l’aeroporto. Il tempo di ritrovarmi sul pulman per la stazione e già i miei brothers mi mancano terribilmente tutti. Bruce compreso naturalmente…. La sensazione però non è quella che sia finito qualcosa, ma piuttosto che qualcosa di straordinario sia “appena cominciato”….  A questo giro Bruce dentro di me stai facendo un bel po’ di “rumore”… quindi se la domanda è “CAN YOU HEAR ME?” la risposta è: “Si, Bruce. Ti sentiamo”.

Un abbraccio e un grazie infinito ai compagni di viaggio svedesi e a chi a Stoccolma non c’era, ma c’era lo stesso.
Chiara Cavalieri

venerdì 18 marzo 2011

Springsteen @ Giants Stadium

Darkness Falls On New York City
Tuesday, 29 September
Opening Reception/Celebration of the Publication of Light In Darkness

After a long flight from San Francisco, I was finally in New York for the official release party of the long awaited second Lawrence Kirsch volume, "The Light In Darkness." As important as the Giants Stadium shows were, I had been waiting nearly a year for this moment. The labor of love began by Lawrence 2 1/2 years ago had grown to include so many talented writers and photographers focusing completely on the complicated but brilliant Darkness On The Edge Of Town.
The jet lag disappeared from my body as I held my copy in my hand. Finally reading the many wonderful contributions and seeing my own contribution on these pages instead of a computer screen gave me a high like nothing I have ever experienced. It was the perfect event to start the marathon five Giants Stadium performances of Bruce Springsteen and the E Street Band.

Wednesday, 30 September
Born to Run


There was some inexplicable magic in the air, but it was clearly a presence larger than us. This, the first of five nights of the most anticipated U.S. performances by Bruce Springsteen and The E Street Band during the 2009 Working on a Dream Tour. What began in Chicago with the complete performance of “Born to Run” was reprised at Giants Stadium, an outdoor venue that holds 72,000 people became the “battleground” for Bruce Springsteen and The E Street Band in the ongoing debate over whether they were too old to continue creating the shape-shifting masterpieces on stage night after night, or whether they no longer held the creativity, as they had since the early 1970s, to surprise the dedicated tramps. The first two nights at Giants Stadium proved would-be cynics wrong at every turn and with every note from beginning to end.

The band took the stage shortly after 8:15 PM. Bruce welcomed us to “his backyard” with a song he wrote specifically for Giants Stadium and dedicated to its life and impending death. “Wrecking Ball” displays an emotional intensity similar to the title track of the film “The Wrestler.” While “The Wrestler” presents itself as a subtle ballad willing to take a beating in a desperate attempt to leave you entertained at the expense of the subject, “Wrecking Ball,” written in first-person Stadium, angrily challenges you to look the history of this hallowed ground in the eye and pick a fight with it. “The Wrestler” welcomes you to witness the slow decline of an individual as a beautiful moment, but “Wrecking Ball” dares you to visualize the blood spilled in the field built on a swampland “where the mosquitoes grew as big as airplanes.” and where Bruce and the band have a rich 25-year history. “Wrecking Ball” dares us to witness this rage knowing that we will lose the war against progress and gentrification. 

After unleashing this beautiful display of sonic rage, it was fitting to continue with the trio of the Born in the USA outtake “Seeds,” and a double dose of Nebraska material with “Johnny 99” and “Atlantic City.” Both “Seeds and “Johnny 99” have come to be known as the “recession suite,” but “Atlantic City" proved a more than fitting addition. It was clear that the Boss and his band did not want us to forget the turbulent economic times we live in. 

After our recession history lesson, the first of two Working on a Dream titles made an appearance. “Outlaw Pete” has evolved into an entertaining early western comic book, translated into song. Musically, Soozie Tyrell and Steve Van Zandt highlight the pace of the story while Springsteen is the campfire storyteller, complete with cowboy hat, the fictional western outlaw who could take on Billy The Kid without hesitation. Next was the “River” sing-along “Hungry Heart,” which, to Springsteen's complete delight, had the packed stadium drowning out his every word. The title song was the last played from the newest record. The Boss spoke of the hard work devoted to this Giants Stadium run like the possessed street preacher we’ve all come to expect. He then unveiled what was next:

“I was trying to think of something to make our last stand here at Giants Stadium special,” he revealed to a hushed audience. “Friday night, we’re going to play Darkness top to finish and Saturday we’re gonna play Born in the U.S.A. top to finish, but tonight…” The opening piano and harmonica riff of “Thunder Road” began the complete “Born to Run.” The sequential order of the songs speak of the hopes and fears of coming of age and. As a prepubescent misunderstood misfit, I turned the lights in my bedroom off, lay in bed, and dreamed. I wanted Mary with her waving dress to come with me and kiss me for the first time, to hang with all the troublemakers beneath that giant Exxon sign. I wanted to join the band as I attempted to “learn how to make my guitar talk.” I imagined myself living in an abandoned beach house with my best friend hiding on the “Backstreets.” I looked up to the Magic Rat, immortalized in the working class one-act rock opera of “Jungleland,” and mourned when the ambulance takes him away at the song's end. I longed to comfort the “barefoot girl sitting on the hood of a Dodge” when she lost the Magic Rat. 

I've heard most of Born to Run performed at Springsteen shows; this was the third time it was performed sequentially, in its totality. As a 38 –year- old single father, I relived the feelings I had when I first discovered it. After introducing the surviving band members responsible for making the record, he jokingly barked, “Get your asses back to work!” Born to Run began five nights of unforgettable moments.

Seven classics and contemporary songs followed: “Waitin’ On Sunny Day, “The Promised Land,” “Into The Fire,” “Lonesome Day,” “ The Rising,” “Badlands,” and “No Surrender” preceded the stadium's first vocal rendition of “Raise Your Hand,” accompanying the audience request sequence. The songs chosen were the rare and crowd energizing “E Street Shuffle,” and “Growin’ Up” featuring a foul-mouthed Bruce telling a rare mid-song story of dreaming of a cake with sixty candles-- a direct reference to his recent 60th birthday. This led to the audience to immediately sing “Happy Birthday” to Bruce.

“Dancing in the Dark,” “American Land,” and “Hard Times,” led to a fireworks display accompanying the traditional E Street shout-out, with the Boss declaring “that’s right, we splurged for the fireworks" before dedicating Rosalita” to his absent wife and band mate Patti. He closed the longest show of the tour -- three hours, fifteen minutes.

Friday, 2 October
Darkness on the Edge of Town
“Wrecking Ball” opened the 2 October show. Tenth Avenue Freeze Out” replaced the recession suite, showcasing the Big Man in fine form! The energy level continued with “No Surrender,” followed by “Outlaw Pete,” “Hungry Heart,” and Bruce the preacher with “Working on a Dream.” From there, it was time for the one of the most important moments in the 2009 tour. “Badlands” opened the Darkness On The Edge Of Town suite, but it had a different feeling than the usual raucous, crowd-pleasing
sing-along. It opens arguably, Bruce's greatest recording. Darkness is the hardest record for many loyal tramps to listen to. It tells stories of despair, destitution, anger, and a loss of hope still unmatched in rock and roll. As much as we can relate to something on this record, it is light years from an easy listen. For many (myself included), as much as the “Born To Run” suite was the ultimate classic rock treat, Darkness was a religious experience previously unheard at a Springsteen concert. It was both an emotional roller coaster and a masterpiece.

Some in the audience clearly wanted a “regular” show with a variety of songs rather than the complete Darkness suite. After introducing the original Darkness performers, including referencing the late Danny Federici, Springsteen shifted the tone with the upbeat “Waitin' On A Sunny Day” followed by an instrumental “Raise Your Hand” to collect audience requests. The winners were “I'm Going Down,” “Be True,” and a never-before performed version of the Lieber/Stoller hit made famous by Elvis, “Jailhouse Rock,” a fabulous rendition that was nearly impossible to believe that the band hadn't played before. “Thunder Road,” the nearly absent “Long Walk Home,” “The Rising,” and a Jay Weinberg -powered “Born To Run” brought the closing set for night two. “Cadillac Ranch,” “Bobby Jean,” and “Dancing In The Dark” preceded the band introduction, the fireworks display, and “American Land” before “Rosalita,” again dedicated to an absent Patti Scalfia) closed the show.
These performances were the antithesis of everything the cynics spent the entire tour claiming. “The Big Man is losing it, getting old and missing notes!” If this were the case, you'd never know it from these shows, as he never missed a step from beginning to end. Detractors claimed “Steve Van Zandt is turned down in the mix because he can’t sing or play guitar!” Steve Van Zandt in fact, dominated this show with both vocals and amazingly raw lead guitar playing throughout the majority of the performances. The next three nights proved this to be anything but a one-time stroke of luck.

MINISAGGIO INFORMALE (ironico) SULLA MUSICA DI BRUCE SPRINGSTEEN ED I SUOI EFFETTI COLLATERALI

Nel 1982 Ernesto mi regalò una musicassetta dei Fratelli Fabbri Editori, di quelle che si trovano a basso prezzo in edicola, di un certo Bruce Springsteen. Mi disse: “tu che sei una dilaniana sfegatata, senti questo, è il nuovo Dylan”. L’ipotesi che potesse esistere un nuovo Dylan già mi infastidì e la mia disposizione d’animo, nell’ascoltare l’usurpatore, logicamente fu totalmente negativa.
E infatti: non mi piacque la voce, non mi piacque l’interpretazione, non mi piacque l’esecuzione strumentale, meno di tutto ancora mi piacquero i brani.
La cassetta finì in un angolo buio della mia discoteca.
Nel 1984, non ricordo né dove né come, mi esplose nelle orecchie “born down in a dead man’s town” ruggita da una voce tonante, esplosiva e sostenuta da una batteria che era bombardamento puro. Mi dissero “ è Bruce Springsteen”. Bruce Springsteen? Lo stesso B.S. che io avevo snobbato…? Questa dinamite dell’anima, questa esplosione nucleare era B.S.? Ma come avevo io potuto allora non rendermi conto…?!
Da allora fu una sbornia. All’indietro. Recuperare il tempo perduto. Ascoltare tutti i dischi ignorati.
Nel 1985, la sera del nostro matrimonio, Ernesto mi fece trovare tutti i dischi di Bruce, sul letto.
Aveva inizio anche il mio matrimonio con Bruce.
Ma si sa che io sono eccessiva nelle mie emozioni e nelle mie sensazioni. Da sempre la musica era stata per me l’aria da respirare, e il suo coinvolgimento totale sempre mi aveva isolata dagli altri perché chi mai attorno a me “sentiva” la musica alla mia maniera? Sempre sola dunque, in questa mia passione, anzi isolata. Fuori. Ma dentro di me albergava l’opposto della solitudine, chè mai io nella mia vita mi sono sentita sola. Anzi
Succede però che la musica di Bruce comincia a trascinarmi in mondi paralleli, mi cattura tanto da distrarmi dalla mia vita reale.Nasce mia figlia. Sento di volermi dedicare solo a lei. Come fare con la musica di Bruce? Mi allontana, mi allontana mentalmente, spiritualmente. Non va bene. Non è possibile. Io non posso. Io non devo. Musica sì. Ma non Bruce. Bruce non si può. Punto. E basta.
Meccanismi perversi che ci portano a privarci della linfa vitale.
Passano anni. La musica di Bruce ascoltata in mente. Soltanto. (Ma sapete quanto può essere bello sentire in mente un intero disco?) I dischi nuovi puntualmente acquistati e ascoltati “per finta”, senza impegno, facendo qualcos’altro. La mia vita di famiglia va avanti, con gli alti e i bassi che ci sono in tutte le case. Senza Bruce. Del resto ce la faccio benissimo.
Arriviamo al 2002. Esce “The rising”, il disco per le due torri. E’ il primo cd di Bruce che ho.
E dai! Siamo tutti grandi ormai. E che ci vuole. Lo scarto. Lo inserisco nel lettore. Dio mio, ma che fa questo. Ma Bruce è un pazzo. Come si può scrivere così, cantare così, suonare così.?! Come posso essermi persa tutto questo ed essere ancora viva? Ecco è questo il punto: sono ancora viva?
Ad ottobre dello stesso anno MTV trasmette il concerto di Barcellona. Lo registro perché a casa non gradiscono vederlo.
L’indomani mattina non vado a lavorare per godermi in pace la registrazione.
Che è orribile. Ma è Bruce!
Quella notte la mia gatta, miasecondafiglia, scappa da casa. Il dolore è immenso. La paura e l’angoscia per non sapere cosa le sia successo. E’ stato per Bruce. Sì, perché l’ho “ripreso”. Di nuovo quell’assurdo meccanismo psicologico che mi spinge a punirmi non so di che. Bruce per me è finito. Per due motivi: primo, perché sempre la sua musica sarà legata ad un episodio drammatico della mia vita; secondo perchè mi sono abbandonata alla mia debolezza.
La gatta torna la notte successiva. Ma io con Bruce ho chiuso lo stesso. Decido di rompere PER SEMPRE.
Facciamo un balzo al 2005. Mi torna costantemente in mente “Waiting…”. E’ solo una canzonetta (essendo di Bruce è UNA SIGNORA CANZONETTA), ma mi tormenta. Mi addormento con Waiting e mi sveglio con Waiting. Mi vengono in mente dei personaggi che interagiscono. Nasce Marina, nasce Giuliano. E c’è sempre la musica di Bruce. I brani più belli mi confondono la mente. Non riesco a lavorare, a parlare, ad occuparmi come vorrei della mia famiglia. Marina, Giuliano, Bruce, la sua musica…
Un giorno mi trovo a chiedere al portiere “scusi , il dottore Ferri è salito?”. Il suo sguardo allibito mi dice che mi sta succedendo qualcosa. Appuntamento con la psicologa. “ Dottoressa, ho una vita parallela fatta di persone immaginarie, e di musica solo pensata che mi sta confondendo, comincia ad esserne intaccata la mia vita reale…” “ Ne scriva un libro, e ascolti materialmente quella musica, vedrà che così tutto andrà bene”.
Seguo il consiglio. Comincio a scrivere “Affittasi”. E torno da Bruce.Finalmente libera. Finalmente con la netta certezza che “questa volta Bruce non lo lascio più”. Allontanarmi dalla sua musica, anzichè salvarmi, mi stava facendo ammalare.
Ed è di nuovo una sbornia. E non voglio disintossicarmi.
Mio padre si ammala. Vederlo soffrire è inaccettabile. Ma dopo un giorno intero accanto a lui a somministrargli gocce d’acqua che non riesce ad inghiottire torno a casa e, prima ancora di pensare alla cena dei miei, trascurati per l’intera giornata, metto un paio di brani di Bruce in cuffia, faccio un pianto liberatorio e sono pronta per un nuovo giorno ugualmente drammatico. Se ho retto i sei mesi della malattia di mio padre lo devo a Bruce e alla sua musica, alla sua maniera di interpretarla e di eseguirla.
Da un anno sono iscritta ad un forum di springstiniani. Con loro finalmente colmo un mio grande vuoto: posso condividere con qualcun altro la passione per la musica di B.S.
Parliamo la stessa lingua. La mia vita , dal 20 luglio 2007 è totalmente diversa. Il senso di unione che ci accompagna a migliaia di chilometri di distanza è fortissimo. Fortissima la sensazione di far parte di una comunità privilegiata, di poter usufruire di qualcosa di magico a molti sconosciuto.
Certo io non sono come loro, lo so. Io non sono una fan. Io non ho duemila versioni dello stesso brano eseguito in trentacinque anni in tutte le parti del mondo. E non seguo Bruce in ogni tour. E non lo considero la parte terrena di Dio. Io trovo che sia un musicista ENORME, un GRANDE scrittore di testi, un cantante STRAORDINARIO ed un “suonatore” di non grande livello tecnico ma di GRANDISSIMO cuore.
Bruce non è un innovatore. Non ha creato niente di nuovo. Ha solo tirato fuori tutta la musica che ha sempre amato, la sua musica americana. Il rock, il soul, i gospels, il country, il jazz. Ne ha creata di tantissima, tutta di una bellezza straordinaria, di una potenza sconosciuta agli altri artisti, creando negli ascoltatori una risposta emotiva di gran lunga superiore a chiunque altro mai. Ecco: il punto è questo: ma chi se ne frega se Bruce è la più grande rockstar del mondo o non lo è, chi se ne frega se non “dobbiamo dimenticare Hendrix o i Pink o Dylan etc. etc. etc.” Chi se ne frega se il suo rock è “stradaiolo, romantico ed enfatico”, chi se ne frega se come chitarrista “non vale una cicca”, chi se ne frega…La grandezza di Bruce sta in come ti arriva al cuore, in quello che certi suoi brani ti fanno provare, nell’emozione che ti scatena la sua voce…( o in ogni caso tutto questo lui lo fa provare ad alcuni, è chiaro, se no tutto il mondo sarebbe springstiniano,) la grandezza sta in quello che provi quando lo ascolti, perché a me, che musica un poco ne conosco e ne ascolto, quello che scatena la musica di Bruce non lo ha mai scatenato nessuna, neanche quella di un altro mio mostro sacro che è Beethoven. E qui c’è poco da argomentare, da teorizzare, da sostenere o da confutare. Qui si parla di sensibilità analoga, si parla di sensazioni, si parla di emozioni. Niente a che fare con giudizi di valore. O con giudizi tecnici. O con giudizi critici, esperti e non. Qui si parla di cuore. Siamo nella sfera dell’irrazionale. Dell’impulso. Della risposta emotiva. E che cos’è tutto questo se non arte?

Io amo la musica. Intendo soprattutto la musica strumentale. O anche vocale, ma nella misura in cui la voce è considerata uno strumento musicale. Cioè, quello che “dice” la voce per me è secondario, mi interessa il suono della voce.
Allora: un gran numero di critici musicali e un altrettanto grande numero di ascoltatori ritengono Bruce Springsteen grandissimo per i suoi testi, anzi lo ritengono più grande per i testi che per le musiche, lo ritengono in sostanza un grande scrittore, portavoce di un certo tipo di America ben collocata nel tempo.
Basti citare Alessandro Portelli, che per diversi anni ha tenuto i suoi corsi di letteratura angloamericana alla Sapienza di Roma, proprio sui testi di Bruce.
E le tesi di laurea che molti studenti hanno portato in varie università italiane, non ultima quella, bellissima, di Antonella D’Amore diventata poi un libro pubblicato dal “Manifesto”.
Ecco, io coi testi di Bruce ho un problema.
Intanto, come ho già detto, per me sono di secondaria importanza. Se io ho voglia di parole vado a leggermi una poesia o un romanzo…motivo per cui , nello scandalo generale, poco mi interessano i nostri considerati grandissimi De Andrè o Guccini. Che come poeti o scrittori per me vanno benissimo, ed in questa categoria attribuirei loro un posto ad alto livello, ma come musicisti nulla di più noioso, monocorde e monotono, sia dal punto di vista compositivo che dell’esecuzione strumentale e vocale. Sto dicendo quello che penso io, non che sia così in senso assoluto. Parlo sempre della risposta emotiva all’ascolto.
I testi di Bruce io li ho scoperti molto tempo dopo. E inizialmente non li ho capiti. Che facilissimi non sono. Pieni di immagini.
Bruce in sostanza racconta delle storie. Storie di disperati, di perdenti, di reietti. Storie. A volte veramente drammatiche. Bellissime. Americane. Pensiamo a “Furore,” pensiamo a film come “Il selvaggio”. Pensiamo. Perché questo fanno i testi di Bruce. Ci fanno pensare. E bisogna stare molto attenti, perché sono soggetti spesso a fraintendimenti vari.
E poi Bruce fa una cosa strana: su una musica trascinante, che facilmente possiamo definire senza paura di essere riduttivi, “allegra”, mette in realtà testi di una grande drammaticità. Uno per tutti valga l’esempio di “American land”, straordinario pezzo country-folk, dal ritmo travolgente, che spinge stadi interi a cantare e ballare in maniera euforica, e che sembra l’esaltazione della “terra americana”. In realtà altro non è che una durissima condanna della violenta oppressione e dello sfruttamento esercitato dagli americani sugli emigrati, che l’America l’hanno fatta.
Ma il rock di Bruce si distingue dal precedente e dal suo contemporaneo. Il rock nasce come ribellione e come distruzione. Ebbene il rock di Bruce lo sarà senz’altro perché se così non fosse non avrebbe tale identità, ma per lui la ribellione e la distruzione non sono fini a se stesse, bensì il primo passo necessario verso una possibile ricostruzione.
Ecco la cosa strana che succede. Quello che possiamo chiamare l’ottimismo di B.S. , la sua convinzione che alla fine tutti abbiamo una ragione per credere e a tutti toccherà la terra promessa, viene espressa non tanto dalle sue parole ricorrenti fede, speranza, sogni, forza, amore etc. etc. ma dalla sua musica. Da una musica potente e vorrei dire vivace, che si pone come contraltare a testi cupi e difficili.
L’esplosione della batteria che è una costante della sua produzione musicale (come si potrebbe parlare altrimenti di buon vecchio puro rock puro?) , la dolcezza dei violini, o la veloce intensità del pianoforte, le schitarrate a tre, il basso che si insinua come il battito del nostro cuore e i lamenti grintosi del sax, uniti al ruggito della sua voce che a volte sa essere di una dolcezza estenuante , sono l’espressione della sua visione positiva , della sua fede che il sogno inseguito possa essere raggiunto. Laddove le sue parole non sempre lo danno per scontato.
Ecco perché, ripeto, quello che per me è grande di Bruce è la musica.
Molto si è scritto sull’uomo Bruce Springsteen. Di bene e di male (molto poco).
Si è detto di tutto e di più. Inutile fare noiose elucubrazioni mentali sulla grandezza dell’artista, la grandezza dell’uomo, chi dei due valga di più, se uno è l’espressione dell’altro…
Non me ne può fregare di meno. Per giudicare un uomo bisogna conoscerlo. Nessuno di noi lo conosce. Possiamo giudicare da quello che vediamo. E vediamo un uomo che da trentacinque anni non ha mai tradito se stesso, i suoi principi, i suoi valori. Una persona INTELLETTUALMENTE E MORALMENTE ONESTA. Almeno fino a questo momento. Tutto il resto non conta.

Giovanna Friscia

mercoledì 16 marzo 2011

L'armonica

Ragazzi...
Non avevo mai sfiorato Bruce prima del concerto dell'Olimpico, né lo avevo mai incontrato.Ho già descritto sul forum che effetto m'avesse fatto semplicemente ("semplicemente", poi!) guardarlo bene negli occhi a Stoccolma...Dopo quell'esperienza l'approccio ai concerti italiani era molto battagliero e avevamo (con il Fabruce) tutta l'intenzione di conquistare la transenna, tanto più che a Roma si giocava in casa.
Sarà forse che con Bruce le emozioni sono cresciute ogni volta che l'ho visto, sarà che logisticamente m'è sempre andata molto bene, a partire dal primo pit "regalato" da un anziano signore americano, ma di fatto ad ogni concerto è cresciuta la mia integrazione col gruppo di sudati e puzzolenti, o infreddoliti, ma comunque puzzolenti, campeggiatori del rock 'n roll.

A Roma, come sapete, eravamo sudati e puzzolenti in una coda interminabile, abbastanza lunga per fare nuove conoscenze, salutarne di vecchie, comprare biglietti, mangiare cornetti, ricevere rifornimenti dalle staffette granata (!), litigare con qualche furbo troppo buffo per essere credibile, morire di caldo, imitare con profitto le sardine in scatola, ridere ridere e ridere.
Sia come sia, dopo lo schiacciamento, l'apertura dei cancelli, la corsa su per le scale, la corsa giù per le scale, la corsa verso il pit, la corsa, appunto, s'è arrestata contro la fatidica transenna, per l'esattezza contro la pedana lato Steve, da quel momento in avanti luogo d'elezione dei concerti onesteppici.
E qui scatta il primo ringraziamento al Fabruce, perché lui fu, ebbene sì, a dirottare con un cenno del capo i nostri passi verso quella posizione più laterale ma avanzata, da cui, sognavamo nell'attesa, lo avremmo finalmente toccato per poi buttar via il sapone.
Aspettando di smettere per sempre di lavarci, si fa amicizia con il ragazzo della security nostro dirimpettaio (che conosceva solo BITUSA e The Rising, ora è letteralmente impazzito e dovrebbe iscriversi a breve su LOHAD : tutto con un concerto visto di spalle ) e si concludono affari con personaggi celebri, un certo pazzo inventore di Barcellona, da cui compriamo ulteriori biglietti per Santiago (e menomale, come ben sa Ale ).

Poi si comincia, e per me tanti brividi.
Perché siamo di nuovo qui, tutti quanti, e nella mia città; perché da qualche parte, nel pit, ci sono mio fratello e un mio amico al primo concerto e in tribuna altre persone care, e io fremo per sapere come lo vivranno; la felicità è reale solo se condivisa, no?
Si comincia, arriva Morricone a rimescolarti lo stomaco, arriva quel sorriso che ti fa sobbalzare, arriva Badlands dritta come un treno, ed è il concerto.
Lo vediamo bene, ci gustiamo le scenette con Steve e la sua faccia incredibile su Johnny99.
Quando Bruce si avvia per la prima volta dalla nostra parte la pressione della folla si fa sentire e cresce l'eccitazione. Si avvicina, passa veloce e sorridente mentre raccoglie cartelli su Raise your hand, mi dà la mano, più un cinque a dir la verità.
E' un discreto colpetto al cuore, mi voto istantaneamente alla sporcizia.
Ci guardiamo coi vicini, tutti abbiamo le stesse facce da incontri ravvicinati del terzo tipo.
Ma il concerto va avanti: si salta su Pink Cadillac circondati dai pinkcadillaccari; si storce il naso su Surprise Surprise, e io sfotto Fabruce che fa il critico ma poi la canta sempre; goduria su Prove it all night, allegria obbligatoria su Waitin'.
Poi attacca Promised Land, ed è qui che tutto finisce.
Dopo aver cantato la prima strofa dal palco, Bruce scende e viene di nuovo verso di noi.
Io lo chiamo mentalmente: vieni, vieni qui a cantare, che questa canzone per me è importante.
E' la canzone con cui ti ho conosciuto e stasera ha ancora più senso: voglio urlare anch'io quei tre "Blow away" con te qui.
E lui magicamente si avvicina, mi supera, e si mette a cantare sul margine della mia pedanina, dandomi le spalle.
Io lo osservo, tranquilla. Canto con lui. La folla spinge un po' in più in là, quindi posso guardarmelo in pace, e penso nitidamente ok, diamo un'occhiata a questo celeberrimo fondoschiena visto che è qui...
Niente male, sì, stai bene Bruce. E hai l'armonica nella tasca dei jeans, ecco dove la metti, pensa.
Sarebbe bello se restassi qua, magari se passassi qui da me e mi guardassi un momento proprio su QUESTA canzone, ma ora te ne andrai, ecco, stai già tornando indietro. Sono pronta a salutarti, ma...ma ti sei fermato proprio qui! Sei qui davanti a me. Beh, se non ti dispiace, più discretamente che posso, ti appoggio una mano sul ginocchio, posso? Non mi va di sporgermi e urlare come un'invasata, di farti lo sgambetto, di strapparti i vestiti, mi va di guardarti in pace, visto che sei qua, e ti metto questa mano sul ginocchio, più rispettosa che posso, ok?
E tu...tu mi stai facendo l'assolo di armonica così vicino, grazie, non sai quanto, non sai come mi sento leggera e in pace in questo momento, non sento nessun altro qua dietro, qui a fianco...che spettacolo!
E adesso...mi guardi? Stai guardando proprio ME?!? Mentre suoni l'assolo di Promised Land? Beh, ti guardo anch'io. E mi sento sempre più leggera, tra un po' mi sollevo da terra mi sa. Continuando a guardarti.
E ora, le note stanno finendo, si avvicina il momento in cui te ne andrai, e io mi sento così piena di senso, così appagata, ma poi tu ti chini verso di me, e allora tendo la mano, l'altra, la sinistra, per stringere la tua.
E non mi sembra vero, sempre più bello!
Mentre mi dai la mano, sorridi con una smorfia buffa e simpatica, mi fai l'occhiolino e te ne vai.
E io sento la mano pesante, ritiro una mano piena, mi accascio sulla transenna.

Non sento 41 shots, per fortuna me l'hai rifatta a Torino e ad Udine perché potessi apprezzarla a dovere.
Registro appena il commento del mio vicino, che mi dice "Beh, ora puoi anche non venire più"; sento lontanissimo Fabruce che mi chiede se sto bene.
Sì, rispondo, sto bene, sto bene.
Sto benissimo, e non ci credo.
Continuo a tenere stretto il pugno che contiene il "segreto", finché non mi riprendo un po' e ricomincio a seguire il concerto con gratitudine centuplicata, e non credevo fosse possibile.
Born to run è la solita epica cavalcata trionfale, poi lo stadio si zittisce ed ecco My city of ruins, che Bruce annuncia in modo sobrio, senza retorica: con "quelle mani" innalziamo una gigantesca preghiera.
Thunder Road non mi stanca mai, se Mary esita io sono già salita e corro via col finestrino aperto nella notte.
Mi risveglio bruscamente ed energicamente visto che non posso sedermi (!) e poi rido e rido e rido vedendo quei matti di madre e figlio che giocano con noi. Mamma?!?
C'è ancora il tempo per una Bobby Jean che so molto attesa, mi rallegro per lei che finalmente può sentirla, guardo trasognata una ragazza salire sul palco grazie al suo cartello spiritoso, poi è l'ora di Twist&Shout, è l'ora di salutarci estasiati come sempre.

Se ne vanno, ma so che li rivedrò molto presto.
Sento tutta la stanchezza arrivare, non vorrei muovermi da quella transenna, saluto il nuovo springsteeniano che per tutto il concerto ci ha riempito di acqua, di sguardi prima divertiti e poi partecipi, esco piano piano con Maurizio e Fabruce, che solo allora scopre "tutto" quel che è successo.
Fuori ritrovo Francesco, mio fratello, e il mio amico Alberto: sono contenti, eccitati, felici per me.
"Ti hanno inquadrato sul maxischermo, avevi un'aria così serena, un'espressione così strana, eri bella!"
Rimangono sconvolti quando dico "Ehm...non è finita lì, sapete...?"
Mi abbracciano, mio fratello mi solleva per aria.

Fra ed io stiamo tornando a casa, è notte fonda, siamo molto stanchi.
Stiamo in silenzio, solo ogni tanto una frase a raccontare qualcos'altro di quella serata, bella per lui, così speciale per me.
Ad un certo punto mi dice: "Me la fai provare?"
La prende in mano, siamo nel traffico fuori dallo stadio ma per essere Roma è incredibilmente tranquillo e silenzioso.
Ci soffia dentro.
Rimaniamo tutti e due stupiti: come suona bene!

Torniamo a casa, mangiamo un po', io metto in valigia le ultime cose perché domattina si parte per Torino.

Salgo le scale, la porto con me a letto.
Resto un po' sveglia nel buio, con gli occhi spalancati per lo stupore a rivivere quel momento.
Poi mi giro, abbraccio il cuscino e mi addormento serena.
Alessandra Foti 

Bruce e i bimbi

Hola!

Stanotte al 118 fra le varie cose abbiamo soccorso un piccolo di un campo nomadi, capelli nerissimi, occhi nocciola e un po' a mandorla, con una tumefazione nello zigomo sinistro, un polso rotto, il destro, segni di cinghiate sulla schiena (almeno una decina): non stava in piedi e piangeva "come se avesse ingoiato la luna", a 5 anni chissà cosa aveva fatto per meritarsi tutto quello, una punizione per cosa? Forse lo saprà la mamma, tenuta un attimo in disparte prima di salire in ambulanza da un tipo enorme che puzzava di vino e che in una lingua che non conosco e col dito alto le diceva chissà cosa, forse di non raccontare niente, o di dire cosa ?
Ho pensato a quanti bambini a questo mondo non hanno la fortuna di nascere sotto una buona stella, "it ain't me, I'm no fortunate son", direbbe o canterebbe qualcuno.
Sto riflettendo ora al significato che queste piccole creature hanno nella nostra vita, e sento un vuoto, un'amarezza dentro, che forse neanche questo bel sole, le belle notizie su Bruce in studio, e il testo di BTR letto poco fa in ML riescono per una volta a lenire.

I bambini ! Bruce, penso agli album di Bruce, e di come i bambini nella sua produzione abbiano avuto uno spazio in crescendo: da piccole comparse nei primi album, a protagonisti nelle registrazioni più recenti.
Nei primi 2 album solo fotogrammi:  al bus driver lui dice: "bless your children, give them names", giusto per fare una assonanza elegante, Spanish Johnny guarda nostalgico i bambini giocare sulla strada. Stop, nient'altro, non c'è spazio per i bambini nel primo Bruce perché è ancora un ragazzo, non ha in mente la famiglia, e la sua attenzione è tutta su altre cose.

In BTR nessun bambino: il ragazzo sta diventando adulto, sì, nell'album si parla di amori messi alla prova, di lavoro, criminalità, ma non proprio famiglia e di sicuro non bambini.

Darkness : un bambino protagonista in "Adam Raised A Cain" : Bruce stesso: alla fonte battesimale, a vedersi imprimere un marchio che nel prosieguo dei rapporti col padre porterà tanto dolore.

The River : in "I Wanna Marry You" c'è un bimbo in carrozzina, simbolo di una vita di privazioni, quella della ragazza madre che lo cresce rinunciando ai divertimenti della vita e per la quale il protagonista prova un moto di tenerezza. Ma qui il bambino, anzi due come dice Bruce, sono lo specchio della vita dei protagonisti, non sono protagonisti loro. Nella title-track un figlio non desiderato cambia la vita di lui e di lei, e la passione cede il passo alla tristezza, "the river is dry".

Nebraska : in "Mansion On The Hill" fratello e sorella piccoli finalmente protagonisti, di una vita povera, infanzia vissuta a guardare l'opulenza dei ricchi vicini di casa, e i bambini del quartiere vanno a giocare davanti a quel cancello della villa sulla collina, quasi attratti da quello che c'è dentro, la musica, le luci, una vita che non possono avere.
Il fratello dell'"Highway Patrolman", che da piccolo si metteva nei guai, cresce e diventa un delinquente, prodotto della società americana del non avere niente e darsi alla violenza perché non si ha altro.
In "State Trooper" solo un cenno, "forse hai un bambino, una moglie carina", fastidiosi pesi per un protagonista che vive nel vuoto della sua anima. "Used Cars" : bambini che mangiano un gelato nel backseat di una auto usata, il papà e la mamma non hanno soldi per una nuova, e i bambini lo sanno, del resto da poveri non vivendo nella bambagia si cresce più velocemente.
"My Father's House", il lirismo ai picchi. Il bambino del sogno e la ricerca del padre, presenza-non presenza della sua vita, che lui cerca nei sogni tornando bambino. Kyle William che nasce, lo battezzano al fiume, e contemporaneamente la morte di un vecchio in una rimessa di fucili. La vita che nasce, quella che termina, e la domanda a Dio sul senso della vita.

Da BITUSA, "Glory Days" : la bella donna separata con i bambini da mettere a letto, l'amore è finito ma i bambini restano, ma qui per la protagonista non sono un peso, sono la normalità della vita per lei.
"My Hometown" : ovvero dal padre al figlio, Bruce bambino che viene portato in giro dal padre, Bruce con una sua famiglia che scappa in un'altra città per dare un futuro al suo bambino, e anche lui lo porta in giro in auto prima di partire, facendo la stessa cosa che il padre aveva fatto con lui: "take a good look around", guarda bene in giro, da qui ce ne stiamo andando, sembra dirgli.
Dovrei lasciar perdere le outtakes, ma "Seeds" ha una immagine forte e cruda : i bambini nel sedile posteriore dell'auto con una tosse da cimitero, pazzesco, il padre impotente non può dargli di meglio che un sedile posteriore su cui dormire scappando da una città all'altra in cerca di lavoro: questa fa male allo stomaco, mi fa pensare a quei bambini. Ancora qui bambini come specchio della misera vita dei grandi.

TOL : "Spare Parts", bambini come pezzi di ricambio, lui la mette in cinta e scappa pensando al figlio che verrà. Il piccolo sta per essere abbandonato sul fiume, la mamma non ha NIENTE da dargli, ma non ce la fa a lasciarlo, e se lo riprende, affronta (con le palle che il suo ex non aveva) la vita dura che verrà (sembra il prequel alla protagonista di "I Wanna Marry You"): la responsabilità, che Bobby non ha.
Cautious Man, ancora un bimbo frutto di un errore, ma stavolta il padre non si tira indietro, è l'altro lato della medaglia che noi uomini offriamo alle donne.
"Walk Like A Man": un bambino segue le impronte di una bambina, e da grande continua a farlo, Bruce ci dice che non si smette mai di crescere e imparare a dare il meglio. E poi il bambino è portato da mamma ai matrimoni, in chiesa, a respirare quell'aria di festa.

Salto lungo: "Real Man", il bambino coccolato dal padre, ecco Bruce alle prese con la vita di famiglia, l'abbraccio, il bacio del bambino è la fonte del sorriso del genitore, o no? Questa canzone, nelle sue discutibili linee melodiche e arrangiamenti, ha però questo grande messaggio: i bambini sono la nostra luce, facciamo tutto per loro, tutto.

Cantiamogli anche una "Pony Boy", con mamma a fianco per accompagnarlo verso un sonno sereno che papà e mamma proteggeranno.
"Living Proof": grande attestato di amore verso il significato della vita per Bruce : avere figli. Quel bambino che piange con forza urla la sua vita ai genitori che lo abbracciano e gli stanno attorno con tutto l'amore che possono dargli, grande Bruce!

E poi la mazzata : i genitori che piangono il bambino di sette anni, Raphael Rodriguez, ucciso nel campo di scuola da un matto. Lo strazio, un genitore che piange la morte di un figlio, forse la cosa più brutta.
Eccoci allora, i bambini protagonisti in TGOTJ.
E qui è dura da leggere.
La title-track : "hungry new born baby cries", prima mazzata. Un bambino piange, non ha cibo. Questo è il nuovo ordine mondiale: sempre più poveri e chi paga sono i bambini, indifesi, che non possono procurarsi il cibo, e i genitori non glielo possono dare. Questa è durissima. L'atto di accusa nelle parole di Tom Joad.
"Straight Time" : l'ex galeotto che ricade in tentazione, lui ha famiglia, gioca per terra coi bambini, la moglie sorride ma lo controlla con la coda dell'occhio, non sa se sarà più un buon padre. Qui i bambini sono davvero alla mercè della vita, che gli viene data da come sono e vivono i genitori.
"The Line" : il fratellino della bella bruna, col segno nel petto. Un altro bambino da sfamare, da portare negli States alla ricerca di cibo, e un agente di frontiera che scende a patti col suo diavolo personale, e gli dà una chance, anche se qui forse è più la bellezza della donna a determinare la scelta. L'amore.
"Balboa Park" : eccoli, protagonisti, ma di una tragedia. Questi sono i bambini che non hanno niente, né genitori, né brucelanders che fanno una adozione a distanza. Vivono per strada e si vendono ai ricchi signori che vengono con le grandi macchine nere, ingoiano droga, e vengono falciati dai paraurti delle auto veloci, tossendo sangue nel buio. Questa canzone mi fa pensare a Laxshini, e al significato di quello che, grazie a Virginia, possiamo fare nel nostro piccolo per lei, per darle un futuro appena migliore ma comunque lontano dal nostro, anni luce meglio.
"Galveston bay" : due capifamiglia con due bambini da crescere e salutare al buio prima di andare al lavoro, lavoro duro, da proteggere, la famiglia deve mangiare.

Avanti: "American Skin". Charles va a scuola, mamma lo prepara, e gli dice di tenere le mani in vista se vede un poliziotto e soprattutto di non scappare e di fare da bravo. Brutta la vita per un bambino di colore, già col marchio di essere un delinquente solo perché ha la pelle diversa. Un bambino già vittima di un razzismo a priori.

Ancora avanti: "You're Missing". I bambini hanno perso mamma nell'attacco alle torri gemelle, o in una tragedia non diversa, nonna aiuta babbo a casa, e loro chiedono della mamma ogni giorno, e papà non sa cosa dirgli; come possono i bambini capire il significato della morte? Però sentono il distacco da mamma, ed è dura per loro.

Dai Diavoli e dalla Polvere, in "Long Time Coming" il bambino non è ancora nato, ma scalcia in attesa di vivere, e dà un senso alla vita di un uomo che ha mandato troppe cose a puxxane, e che nell'amore di una donna e nella nascita del futuro bimbo trova una ragione per vivere a pieno la vita, finalmente! Sperando di non essere un padre da "see around", cioè non presente, come lo era stato per lui, e sperando che il figlio non paghi per i peccati del genitore, e cioè si costruisca anche con l'aiuto dei genitori una vita migliore, con meno errori e più gioia, di quanto il padre non ha avuto, almeno prima della nascita del figlio. Rainey Williams, orgoglio di mamma, che dà la nanna ad ogni giornata nel caldo abbraccio protettivo di lei, che ha solo lui, e che sta morendo. L'uomo che c'è in casa non gli piace, e quando mamma se ne va gli ruba i soldi e scappa. Ecco un bambino cresciuto in fretta, un altro.
"Silver Palomino" : mamma è morta, e lui la vede, vede il suo spirito in quel cavallo, è un bambino già cresciuto, ha 13 anni, e sente il profumo dei capelli e della pelle di mamma nell'aria. Bellissimo: l'amore del figlio per la mamma che a lui manca tanto.
"Jesus Was" : la mamma prega e dice al bambino di dormire tranquillo, veglierà su di lui. Gesù, Maria, figlio, madre, amore, AMORE.
"The Hitter" : c'era un bambino, sballottato di città in città dalla madre che aveva la polizia alle calcagna. Questo non crescerà bene, diventerà un duro e la mamma non lo accoglierà bene quando si presenterà da lei per avere un riparo.

Ecco i bambini nei dischi di Bruce, in quelli ufficiali almeno.
Raramente protagonisti in prima persona, generalmente proiezione della vita dei genitori, nelle liriche di Bruce al servizio di qualche messaggio: dalla gioia, l'amore, alla disperazione. I lati positivo e negativo della vita, che Bruce ha sempre cantato bene.

Chissà come starà quel bimbo nomade di stanotte, chissà cosa sta facendo Laxshini oggi, starà giocando con una bella bambola, o studiando, per avere una cultura che le dia auto consapevolezza per fare le sue scelte, ammesso che ne abbia tante davanti, di opzioni.

Per i bambini, scrivete pure voi qualcosa, su queste canzoni, abbia o no io dimenticato qualcosa.

14 marzo 2010 h 11:50

Luca Skywalker

Io, i biglietti e Caterina


Mancano solo due minuti.
Centoventi secondi all'apertura della vendita on-line dei biglietti per i concerti italiani.
Due minuti. Tra me e quei biglietti ci sono solo le badlands del sito T1, migliaia di fans assetati di tagliando e Lei.
Caterina.
Caterina che mi guarda con quegli occhioni azzurri, che la fanno molto più grande dei suoi venti mesi.
So che non ce la posso fare. Non da solo. E Francesca sta ronfando nel lettone con Beatrice.
Un minuto. E sono solo!
Tento un diversivo. Apro in contemporanea i due portatili, quello personale e quello del lavoro.

A Caterina non sfugge la mossa. Mi guarda e dice "Bau"!
"Sì Cater, Bau" e le faccio subito partire il video di Pat & Stanley, l'ippopotamo e il cane di una famosa pubblicità.
"Ancoa", dice lei appena finisce.
Ancora, ancora e ancora. Ma quanto ci mette il pc del lavoro ad avviarsi? Maledetto Vista.
Ore nove! Maledizione. Lo starter ha già sparato, saranno tutti lì a cliccare come dannati in cerca di redenzione e io sono qui bloccato!
Finalmente posso aprire il browser sul mio pc, ma proprio in quel momento Caterina si affaccia da dietro l'altro computer, mi guarda e fa con aria interrogativa: "Bau?"
"No Bau", faccio io accondiscendente.
Lei mi guarda, allunga il ditino e... mi spegne il computer.
Non ci posso credere.
Mi sento un Fisichella qualunque, fermo con il motore spento senza aver neppure varcato il via.
Riaccendo il pc, mi ricordo che nessuna giuria assolverebbe un padre che uccide una figlia per dei biglietti (neppure per quelli di Springsteen? no, non troverei mai abbastanza giurati rockettari) e mentre faccio ripartire il video del cane e dell'ippopotamo allontano a distanza di sicurezza il mio pc.
Nove e un quarto. Finalmente sono sul sito.
Mi registro, clicco, clicco, clicco. BAM! sono in coda: sono il 672 e stanno servendo il 143... manco a Mosca per il pane fanno una fila così...
Vabeh... giochiamo d'anticipo: prendo Caterina e la porto in bagno, la cambio e le metto il pigiama.
Una controllatina alla coda. Stanno servendo il 365: faccio in tempo anche a preprarle il latte.
Mi siedo al pc con Caterina in braccio e il biberon di latte. Bevi, bevi, saziati e addormentati.
Stiamo servendo il 471...
Addormentati...
Stiamo servendo il 582...
Ti prego addormentati.
Stiamo servendo il 624...
Ti prego! Ti prego.
665...
T-I P-R-E-G-O
670...
671...
Niente.
Tocca me. Avvio le procedure intanto che Caterina, stufa di bere il latto incomincia ad agitarsi come un anguilla tra le mie braccia...
5 minuti. Ho solo 5 minuti per completare il tutto. E Caterina si agita sempre di più. "Sonno!", dice... "Sonno!"...
"Hai sonno? e dormi, no!"...
Provo con il ciuciotto.
Niente. Non dorme.
Mi giro verso il pc: AAAAAHH!!!!
Lo sapevo.
Errore durante il caricamento della pagina!
Riprovo.
Niente.
Caterina si agita. Io mi agito. Solo la pagina di T1 rimane placida placide con il suo messaggio beota.
Niente. Così non si può.
Chiudo gli occhi. Faccio un respiro profondo. Mi alzo.
Penso alla scena del fiume in Spare Parts. Bruce capirà.
Metto a letto Caterina, mi siedo li di fianco e le tengo la manina aspettando che si addormenti.
So che Bruce apprezzerà. E mi premierà.

Lorenzo Vercellati

martedì 15 marzo 2011

Light of Day 11 Asbury Park NJ... a volte i sogni si avverano...

E' l'estate del 1985. Un nastro giro nello stereo portatile.
Devo aver sentito questa canzone che in radio passano di continuo e probabilmente ho chiesto a mia mamma di vedere se mi trova il nastro (anzi la cassetta) di questo tizio.
Probabilmente è un giovedì (giorno del mercato estivo) quando lei torna con questo nastro preso da qualche bancarella (non originale).
La copertina è composta da un paio di jeans una maglietta bianca, un cappellino rosso che sbuca dalla tasca posteriore con una bandiera americana sullo sfondo.
Ricordo che ascoltai quel brano (Born in the Usa) un numero   innumerevole di volte. Spesso senza avere il coraggio o la curiosità di andare oltre (cover me ecc.)... Poi Videomusic mi portò a scoprire che in quella cassetta c'era Dancing in the dark, Glory Days, My hometown...e poi mi piaceva quell'attacco di elettrica di Downbound  train e il video di I'm on fire mi piaceva proprio.
Fortuna vuole che vicino a casa mia c'era questo negozio estivo di dischi (bei tempi...) gestito da un amico (Paolo)...e quindi in quell'estate (o quella dopo) arrivò il nastro di Born to run...fino all'acquisto nel 1988 del primo stereo con giradischi. Il primo vinile che comprai (ancora prima di avere lo stereo) fu Live in Torino, bootleg quadruplo...
In quei quattro anni (1988-1992) inizia a conoscere, leggere, ascoltare, appassionarmi di una passione che non condivideva quasi nessuno che conoscessi.
Capii di aver scelto “la parte giusta” quando nel 1992 vidi il mio primo show di Bruce Springsteen dal vivo.
Accompagnato da mio padre (anzi direi da mio babbo) fu un'altra folgorazione...di quel concerto ricordo alcuni particolari che invece mi sfuggono se ripenso a quelli più recenti. Si sa che le cose che si vivono a 18-20 anni entrano nel profondo e sei pronto a farti influenzare, a farti sorprendere e questo si sa.
Comunque passarono anni prima di trovare alcuni “compagni di strada” che condividevano questa comune passione nello stesso modo in cui la sentivo io. Fu in un concerto al vecchio cinema Corso (oggi purtroppo spazzato via dall'abitudine di vedersi i film nei centri commerciali), sul palco non c'era Bruce ma Elliott Murphy. Io andai a quel concerto da solo e nella fila davanti a me sentii 2-3 ragazzi parlare dei concerti di Bruce del Tom Joad tour, di bootleg....non so come riuscii a combattere la mia timidezza, attaccai discorso e ci scambiammo i contatti.
E da lì la strada fu tutta in discesa. Grazie ad Alessandro, Gianluca, Gianni e Fabio iniziammo a girare per tutta Italia ed Europa dietro a Bruce. Favoriti anche dal fatto che dal 1999 in poi Bruce tornò con una frequenza regolarissima a fare tour e dischi.
Nel frattempo continuavo a coltivare nella mia cameretta il sogno di suonare la chitarra e naturalmente tante canzoni che mi piaceva suonare e cantare erano quelle di Bruce Springsteen. Ma era lontanissimo dai miei pensieri di potermi esibire in pubblico. Mai e poi mai ci avrei pensato.
Fu in un viaggio verso Vienna nell'aprile 1999 in cui grazie all'incontro con Sergio Castellani provai l'emozione di suonare (in pullmino) con qualcuno che suonava in giro da anni...e ci salutammo con la promessa di fare un  duetto prima o poi.
Ora non sto a farvela troppo lunga...in quegli anni vennero tante cose: la prima “The river” davanti ad un pubblico, i primi Glory Days in Rimini, le centinaia di amici trovati grazie alla musica di Bruce, la mia laurea nel 2000, il viaggio al Madison Square Garden per gli show finali del Reunion Tour, il primo duo acustico con Roby, la prima data come Miami & the Groovers il 15 settembre 2000...l'amicizia con Joe D'Urso, ricordo ancora l'emozione per quella Johnny B. Goode suonata con i Caravan al Barge (con Antonio Zirilli al piano. Un segno premonitore)...e poi The Rising, il ritorno negli Usa nel 2003, il duetto con Elliott Murphy dal vivo (tutto iniziò con il suo concerto)...la mia prima esibizione ufficiale negli Usa al Light of day nel 2004...allo Stone Pony, con le gambe che mi tremavano...Hard times, Waiting for me, Tears are falling down e RnR Night...ricordo ancora la sequenza...Bruce che suonò con gli Houserockers in uno Stone Pony stipatissimi, e poi nel 2005 il primo disco Dirty Roads con la band, centinaia di concerti, migliaia di km fatti, l'esperienza di suonare con Southside Johnny e tanti altri che avevo solo ascoltato su vecchi vinili scricchiolanti...Nel 2008 l'uscita di Merry go round, il ritorno a Nyc/NJ per suonare full band con alcuni amici come Antonio Zirilli, Daniele Rizzetto, Andrea Montecalvo allo Stone Pony per il Light of day e in qualche mitico locale newyorkese.
Ok a posto. Avrò già annoiato anche perchè magari questa storia la conoscono in molti.
E' dal 2006 che il Light of day arriva in Europa. Ho partecipato a quasi tutte le edizioni come musicista e nelle ultime due anche come co-organizzatore. Le date al teatro di Lugodegli ultimi 2 anni sono state magiche. E nel frattempo posso dire di aver conosciuto bene anche musicisti come Jesse Malin, Willie Nile, Alejandro Escovedo oltre a Joe che ormai conosco da molto tempo.
Quest'anno abbiamo deciso di andare ad Asbury per il Light of day 2011.
Alla fine saremo un bel gruppo di persone ad andarci e ne approfittiamo per passare 5 giorni a New York, fare qualche concerto (a Brooklyn, al Village, alla Bowery). Riusciamo a vederci anche degli show bellissimi come Gary U.S. Bonds e Steve Forbert. Alla Bowery entriamo e sta suonando la band di Danny Clinch (The Tangiers Blues band) davvero micidiali, con al piano Charlie Giordano.
Quando entriamo nel locale (arrivavamo al volo in taxi da un altro show al Cafè Vivaldi) dico ad Alessio: “Guarda che devi suonare il piano subito dopo il pianista della E Street Band!”.
Di seguito suoniamo io ed Alessio per un set di 4 pezzi chiuso con Peace love and understanding,
ricevendo i complimenti  di Danny Clinch. La sera finisce con un ottimo set di Jesse Malin ed una bevuta di tequila.
Ma questo è solo l'inizio della storia.

Sabato 15 Gennaio
Soggiorniamo a Tinton Falls, NJ. La mattina la passiamo in giro a Red Bank a comprare qualcosa e a mangiare. Alle 14 ci aspettano allo Stone Pony.
Quest'anno il Light of day ha aumentato la proposta di show ed oltre al venerdi sera allo Stone Pony dove potete ammirare il vero Asbury sound) al sabato gli show sono dislocati in 3 locali: al pomeriggio al Wonder Bar e allo Stone Pony ed alla sera lo show principale al Paramount Theatre.
Noi siamo allo Stone Pony, una truppa di italo-canadesi...Due palchi, quello per band il principale quello famoso con il cavallino e un palchetto a fianco per gli acustici.
Negli show acustici si esibiscono prima di me ed Alessio due cari amici: Andrea Parodi da Como ed Antonio Zirilli da Roma. Fa poi piacere vedere tra il pubblico diverse facce amiche. Sul palco ottime band, tra cui i The Beautis davvero spettacolari.
E' la mia terza volta al Pony, un posto per me mitico, e mi rendo conto come di aver realizzato dei sogni che ritenevo impossibili in questi anni...
Il nostro mini-set scorre via bene con Broken souls, Tears e Merry go round...tanto calore del pubblico, qualche cd venduto....ti cambi la maglietta e sei pronto per ripartire.
C'è Joe D'Urso che ci raduna: me, Alessio, Andrea ed Antonio. Ci dice che stasera suoneremo qualcosa con lui sul palco del Paramount (!)...inizio ad essere in stato confusionale.
Stasera il Paramount è esaurito, circa 3mila persone, qualcuno mi ha già detto che Bruce è arrivato e che stasera suonerà...oltre agli show previsti di Garland Jeffreys, Willie Nile, Jesse Malin, Escovedo. Non sappiamo però se poi potremmo stare nel backstage, anzi da quel che capiamo probabilmente no.
Joe ci dice che lui va con Andrea e che ci aspetta all'ingresso dei musicisti tra qualche minuto.
Dal Pony al Paramount, nonostante il freddo, ci andiamo a piedi, anche perchè Silvia che si è avviata a ritirare i biglietti con gli altri amici si è portata via le chiavi della macchina.
Arrivati in biglietteria incontriamo Vince Pastore dei Sopranos che quando ci sente parlare italiano impazzisce...davvero un personaggio.
A questo punto io, Alessio ed Antonio ci dirigiamo verso il retro del teatro dov'è l'ingresso musicisti. Veniamo scortati da un addetto che ci fa entrare. Arriviamo subito sul palco e ci sistemiamo a fianco, anche perchè c'è il soundcheck in corso e sul palco c'è Bruce con gli Houserockers! L'emozione è alta, assistiamo ad un check/prova in quanto Bruce con molto dettaglio riprende la band quando sente che qualcosa non va (fa 3 volteOne Way street e ripete il finale di Adam raised a Cain). Tra le altre prova anche The Promised Land.
A fianco al palco oltre a noi c'è Vini Lopez, Joe ed altre persone. Dicendo che siamo musicisti ci danno il pass Access All Areas...a fine check Joe ci porta su nei camerini per provare.
Saliamo una rampa di scale e ci infiliamo in un corridoio abbastanza stretto.
La prima porta è riservata alla band di Gruscheky, la seconda c'è scritto “Bruce Springsteen” e dopo 1 metro alla terza porta “JD & SC – Escovedo”.
In pratica siamo vicini di stanza.
Con Joe stiliamo la scaletta. Io conosco tutti i pezzi avendolo visto decine di volte live, anche Antonio ed Alessio  li conoscono. Proviamo anche Never missed you more con la strofa in italiano riscritta da me. Con Andrea ci accordiamo di dividercela. Sarà un successo.
Nel frattempo lo show è iniziato (alle 18,30) mentre il teatro va lentamente a riempirsi.
Ogni band ha circa 30 minuti di set alternati da set acustici di 10 minuti.
I primi ad esibirsi sono un gruppo vocale di circa 40 persone, tutti molto giovani che fanno un medley di brani rock pop. E' bello vederli sfilare nel corridoio con una fila lunghissima.
Noi scendiamo al catering per la cena. E ceniamo insieme ai diversi artisti che si esibiranno. Alejandro Escovedo ci saluta calorosamente e con Jesse facciamo due chiacchiere sulla serata del Bowery. Il localeadiacente alla Convention Hall, riparato da un tendone nero e riservato ai guests con pass.
L'esibizione con Joe è prevista per le 19,50. Io vado in camerino per prepararmi al meglio.
Mi cambio, maglietta dei Gaslight stropicciata d'ordinanza, cappellino e siamo quasi pronti. Mi ripasso il testo di Never missed you more e recupero la chitarra che Matt il chitarrista di Willie Nile mi presterà,  una splendida Telecaster custom nera.
Vengono presentati Joe e gli Stone Caravan accolti da un grande applauso, il primo pezzo (Hold on) lo fanno loro quattro. A fine brano Joe al microfono dice qualcosa tipo “dall'Italia degli amici del Light of day”...per una sera saremo gli Italian Caravan.
Purtroppo l'idea iniziale di utilizzare piano ed organo contemporaneamente non è tecnicamente possibile quindi Antonio ed Alessio si alternano al piano. Io mi sistemo di fianco a Mr. Lou De Martino...e si parte: Tell me why. Suonare su quel palco è una gran figata. Penso anche agli amici che sono in platea, a loro non avevo detto niente e spero che sia stata una bella sorpresa.
Lo show di Joe fila via liscio e molto apprezzato (Welcome home, Waiting on a train) fino al momento topico (per me) di Never missed you more. Quando arriva la 2a strofa Joe mi fa cenno di andare a cantarla al microfono centrale (non in quello centralissimo che è riservato a B) parto in italiano e secondo me la gente rimane sorpresa da questa cosa, arriva la parte di Andrea e poi io riprendo il ritornello...c'è il video e la cosa che mi fa più piacere è stato l'applauso che è partito appena finita la strofa. Gran momento.
Finale di set con Let it go e Noisy guitars, vera cavalcata rock...alla fine il pubblico fa sentire molto forte la sua approvazione.
Aver suonato e cantato sul palco del Paramount. Fantastico.
Rientriamo nei camerini, riceviamo molti complimenti...bella soddisfazione.
Passa poco e scendiamo a bordo palco per non perderci l'esibizione di Jesse Malin. La novità di quest'anno al LOD è che ci sono 40 posti con sedie sul palco per chi ha preso un golden ticket...ci ritroviamo vicini gli amici di Trieste capitanati da Franco vera macchina da rock and roll.
Jesse fa uno show straordinario, la band ha un tiro pazzesco, conferma tutto ciò di ottimo che mi aveva lasciato dopo lo show di Reggio Emilia, torna in Italia a fine aprile da non perdere.
Tra le altre suona Burning down the Bowery, Hotel Columbia, Wendy, All the way from Moscow...
Jesse, come è sempre nel suo stile, senza enfasi introduce “un amico”. Tutti sanno chi sta per entrare...scarponi, jeans, camicia a quadri, acustica...parte Broken Radio in un duetto riuscito soprattutto nei controcanti finali...il Paramount è tutto un “broooooooooce”.
Bruce esce e Jesse chiude con una Modern World spettacolare. Grandissimo set, il mio preferito di quelli full band di quella sera.
Senza dimenticare un Garland Jeffreys in ottima forma che chiude il suo set in mezzo al pubblico con Hail Hail Rock and roll che sarà uno degli highlights della serata.
Noi ci aggiriamo tra backstage e camerini, Bruce è spesso attorniato da ragazze ma nessuno gli rompe particolarmente le scatole. Si vede che qua sono abituati ad averlo tra i piedi.
Prima dello show di Willie scendiamo io ed Alessio nel bar/catering e vediamo Bruce seduto al tavolo in fondo  in compagnia. Ci prendiamo il nostro rhum e cola e ce ne andiamo.
Set di Willie ce lo vediamo da vicino, Kevin prepara la Telecaster per Bruce che entra nel finale per suonare “Heaven helps the lonely” come l'anno scorso. Quando esce mi trovo Bruce a mezzo metro gli allungo la mano e gli faccio i complimenti per il solo...pensa che testa!
Lui mi ringrazia e si infila nel camerino con Escovedo e Dave il suo chitarrista.
Il set di Escovedo in duo è qualcosa di veramente notevole. Down in the Bowery, Rosalie, Everybody loves me, The anchor...un set strepitoso. Con Danny Clinch ospite all'armonica su Faith e Bruce per “Always a friend”...ripeto Alejandro Escovedo è un grandissimo, oltre che una persona elegante e molto disponibile.
Molto bello il modo in cui Bruce suona e rispetta il pezzo, un altro momento da godersi, con Bruce che scherza prima della canzone “remain seat!”.
Ogni tanto mi fermo mi guardo intorno e mi godo la serata. Anche perchè non vorrei far diventare “normale” qualcosa di speciale. Molto speciale.
Quando sta per arrivare il momento di Bruce il backstage si popola...noi decidiamo di spostarci dalla parte opposta dove ci sono le “sedie vip” ed è un'ottima posizione. Io ed Antonio siamo vicini e quando vedo Kevin maneggiare con l'acustica dico ad Antonio “inizia da solo”...e così è per 2 pezzi: “Your own worst enemy” e “This hard land”, pelle d'oca anche se la voce raschia un po'.
Entra la band per quello che sarà un'ora e mezza circa di ottimo rock, dove Bruce mi impressiona soprattutto come chitarrista. Siamo lontani dai meccanismi soliti live/show con la E street ma in questo caso è anche bello vederli così, meno precisi, più insicuri, ma sempre efficaci.
Avere un leader come lui risveglierebbe anche la band più spenta del mondo.
I miei highlights personali sono: Adam raised a Cain, One way street, Save my love, Darkness, divertente Pink Cadillac...quando arriva Light of day e Willie ed alcuni iniziano a salire io, Alessio ed Antonio ci guardiamo e speriamo che Bruce chiami tutti per il gran finale.
Davanti a noi si piazza un fila di security che un po' ci intimorisce.
Finisce Light of day...e Bruce chiama tutti dentro. Decisi ed emozionati passiamo tra la security (che non batte un ciglio) e ci piazziamo davanti alla batteria...pian piano entrano tutti: Garland Jeffreys, la band di Willie, Joe, Lou e Sam dei Caravan e tanti altri.
Parte una sgangherata Twist & shout/La Bamba... con Bruce che lascia a Joe G. la  parte vocale all'inizio e Vince Pasto che fa  uno specie di “skat” al microfono...
Averlo lì a un metro e mezzo, sullo stesso palco, intonando la stessa nota, boh è difficile da spiegare e da rendere, alla luce che dopo anni di ascolti, di concerti, di glory days in Rimini, di miei concerti...non saprei spiegarvelo bene, ma   so che chi legge potrà capire meglio di come lo scriverei io....
Bruce tira su qualche ragazza dal pubblico, una bimba che non si lascia pregare e si mette a cantare...stupendo il momento in cui sale sulla spia e si gira verso il batterista e verso di noi per dare il finale:  ecco lì ti vedi quella faccia che hai  visto nei video, nel live in nyc, nel live in barcelona...che punta dritto a te e sembra dirti: occhio che qua stacchiamo al finale!
A un certo punto Antonio indicandomelo lì a 1 solo metro mi fa “Aho ma ce l'abbiamo qua!” ...troppo ridere...questo video magari spiega un po' la situazione caotica ma sempre emozionante. Nel frattempo è salito sul palco anche Bob Benjamin, il vero fulcro dei Light of day, segnato dalla malattia che ogni anno comunque imperterrita va avanti. Twist & shout finisce ed io senza volerlo, quasi casualmente, do un'occhiata al monitor che Bruce utilizza per le parole...non ci credo, c'è scritto: THUNDER ROAD.
Passano a Bruce chitarra ed armonica. Se penso a ciò che significa questo brano per me, l'emozione che mi ha dato ascoltandola la prima volta dal vivo (anche allora chitarra e voce, tutto torna)...Il brano parte, tutto il teatro canta, nelle prime file ci sono pochi occhi asciutti, anche io canto e probabilmente non mi rendo neanche conto di cosa stia succedendo.
Thunder road è un regalo per Bob, che è molto emozionato. Mi piace quando Joe lo abbraccia e lo aiuta a sostenersi durante il brano. Alla fine è a questo che serve la musica, per autosostenerci e per sostenere qualcuno nel cammino. E quale brano migliore di questo? Qui c'è la voglia di fuga, l'insicurezza di ciò che accadrà, la sfrontatezza ma anche l'umiltà, c'è tutta una vita in quei 5 mintui.
E se guardate questo video la cosa più commovente è la mano di Bob in quella di Joe: se l'amicizia esiste è tutta in quel gesto.
Tra l'altro io non resisto di fare un piccolo filmato direttamente dal palco, e quando arriva l'ultima frase “It's a town full...” e senti tutto il teatro cantare non puoi fare a meno di pensare che la vita è una buona vita, che gli amici che hai incontrato per strada sono lì davanti a te e che sebbene ci sia da sputare sangue ogni giorno vale la pena sempre provarci fino alla fine.
Thunder road si chiude con un lunghissimo applauso. Il palco si svuota lentamente. Bruce si ferma qualche istante a salutare le prime file e poi con passo lento si avvia nel retro del teatro e nel camerino.
Noi siamo lì. Felici. Ci troviamo insieme a Franco di Trieste che per km e dedizione al rock non è secondo a nessuno. Saliamo di sopra. Bruce sta uscendo dal camerino. Antonio gli regala il suo cd e chiede se possiamo fare una foto: “No I'm tireeed.....c'mon come here!!!” Antonio da una parte, lascio il posto vicino a Bruce a Franco (che se lo merita) e mi inserisco anche io...arriva la foto che è ribattezzata “4 amici al bar”...
La serata poi continua al Wonder Bar dove Bruce berrà Tequila fino alle 3, io me ne vado con i miei amici e compagni di questo viaggio a mangiare all'Asbury Pie in Cookman Avenue dove il giorno prima ci siamo visti l'Upstage, privilegio per pochi fortunati.
La notte di Asbury è fredda, ma stasera il freddo non fa poi così male.

Encores :
Quel nastro pirata dell'album Born in the Usa è ancora da qualche parte nella mia stanza in casa dei miei genitori. Probabilmente devo a quel piccolo oggetto tutto o quasi di ciò che ho vissuto non solo sabato sera ma in questi anni grazie a quello strumento fantastico che è la musica.
Come detto ad un amico, siamo stati fortunati, certo non c'è dubbio, ma le cose non capitano così per caso. In questi anni oltre ad aver suonato in giro, fatto dischi ed aver girato in lungo e largo per vedere concerti ci siamo anche fatti un grande culo per la giusta causa del rock and roll. Posso parlare sia per me che per Franco ed Antonio che erano al Paramount.
Date trovate, letti messi a disposizione, trasporti in macchina, montare impianti, prestare strumenti, pranzi e cene preparate per semi-sconosciuti, spesso gratis a volte mettendoceli di tasca nostra. Ed alla fine però una ricompensa arriva. Magari nel momento più inaspettato o nelle forme meno prevedibili. Una ricompensa c'è ed arriva. La fede è stata ricompensata questa volta, non ho dubbi.
Oggi credo che andrò a togliere un po' di polvere a quel nastro...
Con dedizione,
Lorenzo Semprini